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Addio, mia cara Holga. La fine di un’era.

5 Dic

Come molti di voi avranno letto in questi giorni, la fabbrica della Holga chiude i battenti definitivamente. Apprendere questa notizia non è stato facile, un po’ perché ero satolla di tacchino del Ringraziamento, un po’ perché la notizia segna la fine di un’era. Ho aspettato la smentita fino all’ultimo, ho sperato che fosse solo una bufala, ma tant’è: la Holga non verrà più prodotta. Pace.

È la fine di un’era. Beh, lo sapete meglio di me: la Holga ha fatto storia. Una semplice macchinetta di plastica ha segnato l’inizio di una fotografia diversa, fuori dai canoni estetici che dettavano legge fino a quel momento. La perfezione, l’armonia, la definizione sono stati valori rimpiazzati da un modo innovativo di vedere la fotografia. Una fotografia senza pretese? Una fotografia per tutti? Una fotografia sciatta e poco curata? Au contraire!, cari amici. La Holga, nella sua semplicità, è una macchina fotografica impegnativa, che richiede – a mio parere – un forte senso espressivo. Usare la Holga senza cognizione alcuna può dare solo risultati mediocri, credetemi. Usare la Holga senza avere senso estetico, è inutile, è hipster. È dannatamente divertente, ma senza senso — che poi è un po’ quello che ho sempre fatto io in questi anni, ma questo è un altro discorso.

L’urgenza di espressione che la Holga racchiude in sé l’ho sempre trovata qualcosa di straordinario. Infatti, perché scegliere proprio la Holga?, perché è economica? Certo, 20-30 dollari e passa la paura. Ma poi?, i rullini, lo sviluppo, le stampe … non è mai stato un hobby economico alla fin fine e lo sappiamo bene. Eppure, la Holga è stata scelta da alcuni dei fotografi più bravi in circolazione. Avere tra le mani un oggetto così elementare e così ostico allo stesso tempo dev’essere una vera e propria sfida per professionisti come David Burnett o Micheal Kenna che, nonostante le numerose macchine, hanno preferito la Holga per alcuni bellissimi progetti. L’espressività, le emozioni che suscitano gli scatti di una Holga in mani sapienti è qualcosa che difficilmente si ottiene con altri dispositivi, digitali o analogici.

La Holga è elementare, immediata, inaffidabile. È una sfida continua. Uscirà la foto o non sarà venuto fuori nulla? Ho tolto il tappo dall’obiettivo? Ho avanzato dall’ultima foto o sto facendo l’ennesima tripla esposizione? Sono su posa N o posa B? Queste domande ce le siamo fatte tutti, e ce le facciamo ancora. Mi sono divertita come una matta con la Holga, è con lei che ho coltivato l’interesse per la fotografia analogica, per le sperimentazioni fotografiche e per il lo-fi. Il primo rullino con lei è stato una scoperta; il primo bianco e nero, un’epifania. Poi, non l’ho più lasciata a casa. A volte ci ho litigato, altre volte l’ho detestata proprio. Ma chissà come mai, è la macchina che porterei sempre con me.

Il mio primissimo scatto con una Holga

Il mio primissimo scatto con una Holga

Niente, questo era solo un piccolo personale tributo alla Holga che non ho potuto fare a meno di scrivere. Se anche voi avete dei ricordi o pensieri a riguardo, scriveteli nei commenti qui sotto, mi faranno compagnia in questo duro momento di accettazione!

Viaggi in Lo-Fi: in mezzo al deserto della Death Valley – pt. 1

27 Dic

Buone Feste cari amici! State mangiando? Io sto praticamente facendo scorta per i prossimi sei mesi, visto che sono tornata a casa dai miei. Dovete scusarmi ma ultimamente sono stata impegnata e ho aggiornato poco questo spazio. Oggi però voglio rimediare e aggiungere un luuunghissimo capitolo dei miei viaggi in Lo-Fi! Alè!

Per il lungo weekend del Ringraziamento, s’è deciso di prendere una macchina e affrontare uno dei road trip californiani più classici: la Death Valley, il deserto californiano ai confini con il Nevada. Dopo 9 noiosissime ore di macchina, in cui manco il brivido di cambiare marcia è concesso, si arriva in queste lande desolate che, agli occhi di una che viene dai paesaggi umidi della piana reatina, sembrano semplicemente incredibili, da film. Sono quasi sei mesi che sono negli USA e ancora non riesco ad abituarmi all’idea che NON mi trovo in un set cinematografico (nel bene e nel male, capiamoci).

Strade lunghissime e drittissime si perdono in mezzo a catene montuose tipiche dei paesaggi del Far West duro e puro. Nel vostro cammino, potreste incontrare: Wile E. Coyote e Beep Beep, tarantole, serpenti a sonagli, città abbandonate, vecchie miniere, bacini prosciugati che si trovano a km sotto il livello del mare, senza dimenticare le classiche balle di erba secca che rotolano indisturbate lungo la strada (vi giuro, ho inchiodato quando ne ho vista una). Insomma, uno dei viaggi più estremi che mi sia mai capitato di fare!

Dal punto di vista fotografico, è stato un viaggio meno “lo-fi” del solito, perché nel mio carissimo zaino c’era anche dell’artiglieria pesante, in tutti i sensi. Mi sono detta: stavolta non dovrò camminare granché, sarò comodamente seduta in macchina senza preoccuparmi di rimanere nei limiti di peso di nessuna compagnia aerea. Vive la liberté! Continua a leggere

Moin Moin, Hamburg!

1 Apr

Inauguro oggi la rubrica “viaggi in Lo-Fi” in cui ho aggiunto anche gli altri miei vecchi progetti come quello di Praga, Copenhagen e Berlino. Questa volta voglio portarvi ad Amburgo, una meta abbastanza insolita che sicuramente non vi farà mancare le atmosfere underground e indipendenti di altre capitali europee.

Sono stata ad Amburgo in un weekend di fine gennaio, quando il gelo, la neve e – soprattutto – la pioggia erano ancora una realtà. Mi piace molto viaggiare in inverno, nonostante il freddo e le poche ore di luce, per riuscire ad avere un giudizio quanto più possibile oggettivo sulle città che mi capita di visitare. Come dire, con il sole sarebbe tutto troppo facile (…)!

LC-Wide - Kodak Elitechrome 100 @200 ISO - xpro

LC-Wide – Kodak Elitechrome 100 @200 ISO – Cross Process (dal treno)

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Libri sulle toycamera: un’altra mia piccola fissazione

10 Gen

Buon anno, gente! Se fossi una blogger seria, non dovrei arrivare a gennaio inoltrato per augurarvi felicità e prosperità per questo 2014 appena cominciato. Ma – visto che non mi smentisco mai – ho tardato un po’. La causa è che mi sono persa nella lettura di alcuni libri ricevuti per Natale e che avevo a casa da qualche tempo. Oggi, infatti, voglio proprio parlarvi di un’altra mia piccola fissazione: i libri di fotografia.

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Avendo studiato filosofia, ho passato anni con il naso sui libri, ma quelli di fotografia sono sempre stati un modo per evadere da testi fitti fitti e complicati. Non che “leggere” un’immagine sia qualcosa di semplice (tutt’altro, direi), ma il mio cervellino bacato si è sempre preso una bella boccata d’aria tutte le volte che mi capitava di aprire un libro dedicato alle fotografie di Atget, Bresson o Erwitt.

Ora che la filosofia l’ho messa da parte, l’idea di leggere dei libri che parlassero di una delle mie passioni mi ha stuzzicato non poco, specialmente da quando ho avuto tra le mani quella che io considero la Bibbia delle toycamera, ovvero: “Plastic Camera, toying with creativity” di Michelle Bates. Un libro scritto con tanto amore nei confronti di un tipo di fotografia che non vuole prendersi sul serio, proprio perché fatta con mezzi semplici ed elementari, come la plastica. Straconsigliato (se ne volete sapere di più, ne avevo parlato qui). Continua a leggere

København’s postcards – pt.II

3 Apr

Cari amici, passata bene la Pasqua? Io sono tornata dai miei e, ovviamente, ho fatto il pieno di cioccolato e di cucina italiana, che non guasta mai. Direi che un po’ di moto ci sta, voi che dite?

Riprendiamo allora la passeggiata nella bellissima København da dove l’avevamo lasciata. Come vi avevo promesso nella prima parte, vi mostro le immagini della Sirenetta di Andersen, ancora il porto, i canali e il centro, dove ho beccato per caso una parata, il cui passaggio è stato immortalato praticamente da tutte le persone presenti. Mi piace tantissimo il contrasto delle divise e dei cartelloni pubblicitari con le modelle, lì per lì non ci avevo nemmeno pensato.

Fotografare la famosa statua della Sirenetta, invece, è stata un’impresa, tanta era la gente. Inoltre, anche se dalla foto con l’xpro non sembra, la luce era veramente poca e avevo decisamente timore che la Holga mi abbandonasse in quel momento. Per fortuna, tutto è andato per il meglio, il mio errore di sviluppo dà anche più personalità allo scatto. Come si fa a non voler bene alla Holga?

In ultimo, c’è anche l’unica foto che ho scattato fuori Christiania, se la ingrandite, si vede anche la scritta di benvenuto (mentre da dentro, era una cosa tipo: “state per tornare all’inferno”!). Nel post precedente vi avevo detto che nel quartiere non si possono fare fotografie e io ho fatto la brava bambina (ma ho rosicato!).

Non nascondo che mi piacerebbe tornare nella capitale danese, anche solo per gustare uno dei tantissimi dolci dei forni antichi sparsi per le vie, nel cuore della città (sì, sto sempre a mangiare, lo so). Il mio rimpianto più grande, forse, è di non aver fotografato affatto i tanti edifici di architettura moderna che si sposano alla perfezione con i palazzi antichi. Ho fatto qualche foto con il mio telefono elegante, ma non è questo il luogo per mostrarvele. Le ho pubblicate nel mio profilo di EyeEM. Se ci siete anche voi, followatemi (anche se, devo esser sincera: fare foto con il cellulare mi annoia un po’).

Vi avevo parlato del fatto che la Belair ha quel famoso problemino di riavvolgimento della pellicola? Bene, credo di aver trovato la soluzione, spero di provarla a breve! Vi faccio sapere. Nel frattempo, eccovi le foto. Spero che queste “cartoline” che vi ho “spedito” vi facciano venire la voglia di organizzare un bel viaggio a Copenhagen.

Belair - Lomography xpro slide 200 @400 - xpro

Belair – Lomography xpro slide 200 @400 – xpro

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zu Fuß durch Berlin – pt.V

27 Mar

Continuo con la serie zu Fuß durch Berlin, se di “serie” si può parlare. Progetto? Forse. Più semplicemente, si tratta di una raccolta di foto scattate per le strade di Berlino. Eccovene altre, alcune già pubblicate in un post precedente:

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Lomography Belair X – Lomography CN 400 ISO

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København’s postcards – pt.I

21 Mar

All’inizio di febbraio, ho finalmente “consumato” il mio regalo di natale: due intensi giorni a Copenhagen. La capitale danese non è troppo distante da Berlino, solo un’ora scarsa di aereo e si è già all’areoporto-più-figo-del-mondo-con-il-pavimento-in-legno. È una città piuttosto piccola e in due giorni si riesce a girare bene, soprattutto a piedi. Ho camminato tanto e, con me, le mie compagne: l’immancabile Holga, la nuova Belair e la fidata LC-Wide. Ho portato con me anche la Polaroid SX-70, ma è rimasta nel mio zaino, poverina. Troppo freddo per lei e per le pellicole della Impossible (no, ancora devo provare le nuove Color Protection, pare che non risentano delle basse temperature).

Ovviamente, in due soli giorni, ho visitato i luoghi più famosi: il porto vecchio Nyhavn, il teatro sull’acqua, il castello, i canali, la tanto famosa quanto odiata statua della Sirenetta e il folkloristico quartiere di Christiania. Devo essere sincera con voi: ho girato e fotografato con gli occhi della turista. Copenhagen è così graziosa che … è inevitabile fare foto-cartoline. Il posto per me più interessante è stato Christiania, dove è nata la comunità hippie più famosa d’europa. Purtroppo, non è gradito scattare foto all’interno e non ho potuto riportare testimonianze. Un gran peccato perché proprio in quel momento era venuta fuori una luce magnifica …

Veniamo ai dati tecnici. Per il colore, ho optato per il cross-process. Nella Belair, ho usato la Lomography xpro slide 200 e nella LC-Wide, la bellissima Elitechrome. Piccola parentesi: avete firmato la petizione affinché la Kodak riprenda la produzione delle sue diapositive?

Per il bianco e nero, invece, mi sono affidata alla Lomography Lady Grey che, purtroppo, in fase di caricamento nella tank ha preso luce e si è velata, trasformando tutte le immagini con i pallini della carta del 120. Colpa mia, è stato un incidente, pazienza.

Le foto che veramente mi piacciono sono quelle fatte con la LC-W, delle quali ho anche le stampe del laboratorio dove ora porto a sviluppare i miei rulli. Per la prima volta in vita mia, devo averlo scovato particolarmente efficiente, perché le loro scansioni sono davvero meravigliose, al contrario delle mie. E pensare che è un servizio di un negozio di articoli per la casa e costa solo 2,55 €!

Il rullo della Belair, invece, ha riportato dei lightleaks dovuti al problema del riavvolgimento di cui vi avevo accennato, che devo risolvere in qualche modo. Qualche consiglio?

Bene, basta con tutte queste chiacchiere, eccovi le foto. In questa prima parte, vi mostro la København del porto e dei canali.

Belair  - Lomography xpro slide 200 @400 - xpro

Belair – Lomography xpro slide 200 @400 – xpro

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Io non inquino

6 Lug

Io non inquino” è una lodevole iniziativa dedicata a chi ama andare in bicicletta. Io adoro pedalare quando posso; Roma forse non è proprio la città ideale per farlo, anche se ultimamente vedo sempre più ciclisti immersi nel traffico! Solitamente, rubo la bicicletta a mia madre quando torno nella mia Rieti, dove da due anni a questa parte è stata creata una splendida pista ciclabile che attraversa i campi della piana reatina e che rispecchia al 100% la vita “slow” che si conduce in questa cittadina.

Perchè rubo la bici a mia madre? Perchè la mia è troppo alta. La mia mountain-bike con cambio Shimano e pedali fucsia mi è stata regalata alla comunione, con l’idea del “tanto ci devi crescere“. Beh, arrivata a 26 anni, sto ancora aspettando che i miei piedi tocchino finalmente il suolo ogni volta che mi fermo. Vi prego, non infierite, è già abbastanza umiliante.

Ho partecipato a “Io non inquino” con questa fotografia scattata con la Holga e il fisheye:

oniuqni non oi (sono un genio)

http://www.iononinquino.it/

E voi? Pedalate?

Nuova Fisheye Baby 110 – tutto ciò mi perplime

15 Giu

E’ uscita solo ieri la nuova Fisheye Baby 110 della Lomography e volevo condividere con voi alcune mie considerazioni e perplessità poichè, come ormai sapete, mi piace speculare sopra questi nuovi oggetti, tanto per capirci qualcosa in più. Per i più distratti, sto parlando della versione “baby” per pellicole 110 della famosa Fisheye N.2, probabilmente uno dei cavalli di battaglia dell’azienda viennese.

Il formato 110, chiamato anche “pocket” date le dimensioni ridotte del fotogramma (13x17mm), è stato lanciato agli inizi degli anni ’70; la pellicola è inserita dentro una cartuccia in plastica che va messa direttamente dentro la macchina, senza il bisogno di incastrare, avanzare, riavvolgere, tirare, ecc. Qui c’è un interessantissimo articolo che tratta proprio di questo formato, se volete saperne di più. La cosa interessante è che su Wikipedia, il formato 110 è considerato “fuori produzione”. Non so se questo è vero, specialmente per il mercato americano e giapponese, dove invece sembra che queste pellicole siano ancora reperibili.

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Lomokino & carillon

28 Mag

Oggi voglio parlarvi di una mattata. Sì, una delle mie, una di quelle intuizioni che mi vengono ogni tanto, mentre sono in tutt’altre faccende affaccendata e che devo fare assolutamente proprio in quel momento, altrimenti ci sto male. L’altra mattina mi sono svegliata stanchissima e con pochissima voglia di studiare (che strano, veramente un evento insolito). Ebbene, mentre ero là che aprivo la Teoria estetica di Adorno (ora mi capite?), non so bene come e nè per quale motivo, mi è venuto in mente che la Lomokino (sì, per me è femminile, per cui: La Lomokino) era da troppo tempo ferma e che avevo alcune idee che mi ronzavano in testa già da un po’. Ad un certo punto, ho pensato ad un video in stop-motion con un carillon. Sì, così, a caso: un carillon con la manovella che gira.

Figo. Subito ho verificato se vicino alla finestra ci fosse abbastanza luce con il fedelissimo esposimetro di nonno. C’era: con una 200 ISO me la cavavo alla grande con f/8 e 1/125. Così, ho montato la pellicola, ho messo la Lomokino sul mio cavalletto scrauso, il carillon sul davanzale e ho cominciato: tak-tak (leggere come onomatopea della Lomokino), e poi giravo la manovella del mini-carillon di poco; tak-tak, manovella-carillon; tak-tak, carillon; tak-tak, ecc … per 149 fotogrammi circa.

Volevo un’inquadratura piuttosto ravvicinata, per questo ho tenuto premuto per tutto il tempo sul tasto close-up 0,6 m. Alla fine avevo un dito in cancrena, ma questo è quello che è venuto fuori:

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